Assistenza nel procedimento penale

Nell'ambito del procedimento penale l'area di conoscenza consente di seguire l'assistito dalla fase delle indagini preliminari fino alla sentenza passata in giudicato, ed in particolare:

al primo incontro viene comunicato per iscritto il prevedibile costo della prestazione distinguendo tra oneri, spese e compenso professionale.

Sarà possibile inoltrare alla Procura della Repubblica competente la richiesta ex art. 335 c.p.p. per conoscere il numero del registro delle notizie di reato, il nominativo del pubblico ministero titolare del fascicolo, la data ed il luogo del fatto ed il titolo di reato provvisoriamente contestato.
L'esigenza di tutela delle indagini impone di coprire col segreto (art. 329 comma 1 c.p.p.) gli atti iniziali del procedimento tenendo ad ogni modo presente come il comma terzo dell'art. 111 Cost. prevede espressamente che l'accusato ha il diritto di essere informato riservatamente "nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell'accusa a suo carico".

Il Pubblico Ministero, una volta svolte le indagini, ed entro i termini stabiliti dalla legge, richiederà al G.i.p. competente l'archiviazione del procedimento o, in alternativa, eserciterà l'azione penale.

Prima della scadenza del termine di sei mesi, fatte salve le deroghe previste dal codice di cui all'art. 405 comma 2 c.p.p., il pubblico ministero, se non deve formulare la richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore oltre che – quando si procede per i reati di cui all'art. 572 e 612 bis c.p. - alla persona offesa ed al suo difensore, l'avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 415 bis c.p.p. che contiene tra gli elementi essenziali, la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, la data ed il luogo del fatto e le norme di legge che si assumono violate, con l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero con la possibilità di prenderne visione ed estrarne copia.

Verrà dunque esposta al proprio assistito la possibilità, entro il termine di venti giorni dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa alle investigazioni svolte dal difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o, ancora, di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

Il pubblico ministero, quindi, una volta compiute eventualmente una delle attività sopra elencate, potrà richiedere l'archiviazione o, in alternativa, dovrà esercitare l'azione penale.

In seguito all'esercizio dell'azione penale per le ipotesi di reato più gravi verrà fissata l'udienza preliminare, per quelle punite con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva – oltre che per i reati indicati nell'art. 550 c.p.p. verrà emesso il decreto di citazione diretta a giudizio.

Nel corso dell'udienza preliminare, a seguito delle conclusioni, il giudice per l'udienza preliminare può:

1) dichiarare chiusa la discussione se "ritiene di poter decidere allo stato degli atti" (art. 421 c.p.p.) e:
pronunciare sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p. quando sussiste una causa di estinzione del reato o manca una condizione di procedibilità, quando il fatto non è previsto dalla legge come reato, non sussiste, l'imputato non lo ha commesso o non costituisce reato nonché quando "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio" (art. 425 c.p.p.). Il G.U.P. dà immediata lettura della sentenza in udienza e la deposita in cancelleria ove le parti possono estrarne copia. Contro la sentenza possono proporre ricorso in Cassazione il P.M., la parte civile e l'imputato, quest'ultimo tranne nei casi in cui sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso (art. 428 c.p.p.). Sono inappellabili le sentenze di non luogo a procedere relative con la sola ammenda o con pena alternativa;

2) emettere decreto che dispone il giudizio quando sussistono a carico degli imputati elementi idonei a sostenere un'accusa in giudizio (art. 429 c.p.p.). In questo caso viene formato il fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.);

3) indicare al P.M. ulteriori indagini da compiere qualora ritenga quelle svolte incomplete (art. 421 bis c.p.p.);

4) "disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere" (art. 422 c.p.p.).

Nel corso dell'udienza preliminare, nei quindici giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato, fino all'apertura del dibattimento nel caso di citazione diretta a giudizio, ed entro 15 giorni dalla notifica del decreto penale di condanna può essere richiesta l'applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento) o il giudizio abbreviato, anche condizionato dall'assunzione di nuove prove.

Inoltre, prima delle conclusioni nell'udienza preliminare, fino all'apertura del dibattimento nel caso di citazione diretta a giudizio, ed entro 15 giorni dalla notifica del decreto penale di condanna può essere richiesta la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Nelle contravvenzioni il contravventore può essere ammesso alla oblazione.

Il rito abbreviato (art. 438 e seguenti c.p.p.) è quel procedimento speciale che consente all'imputato di chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 dell'art. 438 c.p.p. e all'art. 441 comma 5 c.p.p.; il rito abbreviato può essere richiesto negli atti preliminari al dibattimento nei casi di citazione diretta a giudizio, in sede di opposizione al decreto di giudizio immediato o di emissione del decreto penale di condanna.

Al fine della decisione il giudice utilizza, di regola, gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero; l'imputato può anche subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad una particolare integrazione probatoria.
Al termine del giudizio abbreviato il giudice può assolvere l'imputato o emettere di sentenza di condanna: nell'ultimo caso la pena è ridotta di un terzo se si tratta di un delitto, della metà se si tratta di una contravvenzione.

Con riferimento al cosiddetto patteggiamento (art. 444 e seguenti c.p.p.), la legge n. 134 del 2003 ha ampliato l'ambito di applicazione dell'istituto: all'applicazione della pena su richiesta "tradizionale", che consente all'imputato ed al Pubblico Ministero di chiedere l'applicazione di una sanzione sostitutiva o pecuniaria o di una pena detentiva che, al netto della riduzione fino ad un terzo, non supera due anni sola o congiunta a pena pecuniaria, si aggiunge il patteggiamento "allargato" che consente di chiedere l'applicazione di una pena  detentiva da due anni e un giorno fino a cinque anni sola o congiunta a pena pecuniaria.

Sono esclusi dalla possibilità di chiedere l'applicazione del patteggiamento allargato i reati di cui al comma 1 bis dell'art. 444 c.p.p.

La sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168 bis e seguenti c.p.: con la sospensione del procedimento, l'imputato viene affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie:

  • l'esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività;
  • l'attuazione di condotte riparative, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato;
  • il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato.

Il programma può prevedere l'osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell'imputato e relativi ai rapporti con l'ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche.

Possono accedere alla misura gli imputati per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del c.p.p..

Non può essere concessa più di una volta ed è esclusa nei casi in cui l'imputato sia stato dichiarato dal giudice delinquente abituale o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p..

L'oblazione (art. 162 e 162 bis c.p.):

Le norme che disciplinano tale istituto sono gli artt. 162 e 162-bis del codice penale, e l'art. 141 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale.

L'articolo 162 c.p. disciplina l'oblazione nelle contravvenzioni. Si tratta della oblazione ordinaria alla luce della quale viene consentito al contravventore di pagare una somma corrispondente al 1/3 del massimo previsto dalla pena pecuniaria.

I termini entro i quali poter effettuare istanza di oblazione sono: nel corso delle indagini (N.B. la dimensione del testo deve essere come quella degli altri caratteri, non riesco a renderlo più piccolo..), prima dell'apertura del dibattimento ed entro il termine di 15 giorni dalla notifica del decreto penale di condanna.

L'effetto dell'oblazione consiste nell'estinzione della contravvenzione al momento del pagamento.

Con legge 689/1981 è stato introdotto l'articolo 162 bis c.p., "Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative" ovvero oblazione facoltativa che si applica nel caso in cui il regime sanzionatorio previsto dal legislatore sia quello dell'ammenda alternativa all'arresto.



Gli effetti della pandemia sull’organizzazione dell’attività produttiva

La pandemia causata dalla diffusione del virus COVID-19 ha determinato la composizione, dal mese di gennaio del corrente anno fino ad oggi, di molteplici provvedimenti di natura eterogenea, tesi al suo contenimento: come noto, il primo provvedimento emesso dal Consiglio dei Ministeri, avente ad oggetto le misure preventive volte ad arginare quella che ha preso le forme della pandemia solo successivamente, è stata la delibera del 31 gennaio 2020 con cui è stato dichiarato lo stato di emergenza per sei mesi, in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili connessa alla realizzazione dell’opera di azioni di previsione e prevenzione dei loro effetti.

Con il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 intitolato “Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”, all’art. 1, sono state individuate le misure concrete di contenimento del virus, in particolare alla lettera z), riguardante le attività d’impresa o professionali con riferimento alle “limitazione o sospensione di altre attività d'impresa o professionali, anche ove comportanti l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché di lavoro autonomo, con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura di contenimento, con adozione di adeguati strumenti di protezione individuale”, ed alla lettera gg) relative alla previsione che “ (…) che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; per i servizi di pubblica necessità, laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale”.

A seguito del D.P.C.M. n. 19 del 2020, e fino ad oggi, sono stati emanati i D.P.C.M. del 10 aprile e del 26 aprile, sempre riguardanti le misure di contenimento del contagio, per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali avendo quali obiettivi principali la sicurezza e l’igiene del lavoro; in particolare all’art. 2 comma 6 del D.P.C.M. del 26 aprile 2020 è previsto che le imprese le cui attività non sono sospese, rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 6, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 7, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 8. La mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

L’obiettivo del protocollo condiviso del 24 aprile 2020 è quello di fornire indicazioni operative finalizzate ad incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19. Il protocollo contiene, quindi, misure che attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria riguardanti a titolo esemplificativo, il dovere informativo, le modalità di ingresso, la pulizia e la sanificazione, i dispositivi di protezione, l’organizzazione aziendale, la gestione del soggetto sintomatico in azienda, la sorveglianza sanitaria e l’aggiornamento del protocollo di regolamentazione.

Ora, con riferimento alle sanzioni legate alla mancata osservanza di quanto contenuto nel Protocollo Condiviso del 24 aprile 2020, così come degli altri due protocolli sopra individuati - riguardanti i cantieri ed i trasporti -, occorre sottolineare come l’art. 2 comma 10 del D.P.C.M. del 26 aprile 2020 attribuisce, di fatto, natura normativa ai loro stessi contenuti; la loro violazione, pertanto, comporta l’applicazione delle sanzioni individuate dall’art. 4 del decreto legge n. 19 del 2020:

Sanzioni e controlli

1. Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all'articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2, comma 1, ovvero dell'articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l'utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

2. Nei casi di cui all'articolo 1, comma 2, lettere i), m), p), u), v), z) e aa), si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni.

3. Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689; si applicano i commi 1, 2 e 2.1 dell'articolo 202 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di pagamento in misura ridotta. Le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all'articolo 2, comma 1, sono irrogate dal Prefetto. Le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all'articolo 3 sono irrogate dalle autorità che le hanno disposte. Ai relativi procedimenti si applica l'articolo 103 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18.

4. All'atto dell'accertamento delle violazioni ci cui al comma 2, ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l'autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell'attività o dell'esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria è scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione.

5. In caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.

6. Salvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), è punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7.

7. Al comma 1 dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, le parole «con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire 40.000 a lire 800.000» sono sostituite dalle seguenti: «con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000».

8. Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.

9. Il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell'interno, assicura l'esecuzione delle misure avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali. Al personale delle Forze armate impiegato, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l'esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”.

Quindi, coloro i quali non rispettano il contenuto dei protocolli verranno sanzionati con la sanzione amministrativa da € 400 ad € 3000 a cui si dovrà aggiungere la misura accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni”.

A fronte dell’espressione “salvo che il fatto non costituisca reato”, contenuta nell’art. 4 comma 1 del decreto legge n. 19 del 2020, è stata prevista la possibilità che un datore di lavoro od un preposto commetta una condotta che viola una prescrizione contenuta in uno dei protocolli e che allo stesso tempo configuri una condotta penalmente rilevante; in tal caso il soggetto potrebbe essere denunciato, in astratto, alla Procura della Repubblica ad esempio per una delle condotte individuabili nel D. Lgs. 81 del 2008 ma non verrebbe sanzionato amministrativamente.

Con particolare riferimento, poi, ai dispositivi di protezione individuale e nello specifico alle barriere parafiato, la loro mancanza nei luoghi in cui sono obbligatorie configura – in astratto, la violazione di cui al punto 6 secondo periodo del Protocollo condiviso generale del 24 aprile 2020 nonché il reato di cui all’art. 77 comma 3 D. Lgs. n. 81 del 2008, sanzionato all’art. 87 comma 2 lett. d) D. Lgs. 81 del 2008, che prevede la pena dell’arresto da tre a sei mesi o l’ammenda da € 2500 ad € 6400.

E’ consentita la produzione e l’installazione di barriere di protezione parafiato prive dei requisiti prive dei requisiti previsti dal Regolamento UE 2016/425 dall’art. 15 del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 fino al 31 luglio 2020.

Infine, si osserva che con riferimento alle mascherine chirurgiche l’art. 16 comma 1 decreto legge 25 marzo 2020 n. 18 stabilisce che “… Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 5-bis, comma 3, del presente decreto”.

La mancata fornitura delle mascherine chirurgiche, negli ambienti lavorativi in cui è prescritto il loro utilizzo, integra il reato di cui all’art. 87 comma 2 lett. d) per il datore di lavoro e per il dirigente, punito con la sanzione da tre a sei mesi di arresto o l’ammenda da € 2500 ad € 6400, mentre la mancata utilizzazione della mascherina da parte del lavoratore è sanzionata dall’art. 59 comma 1 lettera a) del D. Lgs. n. 81 del 2008 ed è punita con l’arresto fino ad un mese alternativo all’ammenda da € 200 ad € 600.